Francesco Vernelli

Francesco Vernelli

Perchè per molte imprese può essere importante aprire all’ingresso di nuovi soci

La pandemia da Covid-19 sta mettendo a dura prova molte PMI italiane che si vedono sottoposte ad un forte stress finanziario. Il mercato con cui dovremo confrontarci, una volta usciti dalla crisi sanitaria, sarà del tutto nuovo e privo di riferimenti. In questo contesto, purtroppo, non potremo che assistere all’acuirsi di problematiche annose per le molte aziende italiane che, già prima della crisi, presentavano una struttura finanziaria eccessivamente esposta verso il canale bancario. In quest’ottica, un argomento delicato è quello della sottocapitalizzazione che, a prescindere dalla crisi attuale, oltre a rendere l’impresa maggiormente fragile, rappresenta dei potenziali vincoli al suo sviluppo. È prassi, da parte di molti imprenditori, tentare di ovviare a tale problematica mediante il ricorso all’indebitamento bancario, irrigidendo sempre più la struttura aziendale che diventa così incapace di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente in cui opera. Il sistema bancario adotta modelli di valutazione del rischio d’investimento che si focalizzano sulla capacità di rimborso dell’impresa finanziata. Nel momento in cui la banca decide di finanziare un progetto ad alto rischio, essa deve accantonare ingenti somme a copertura di un’eventuale insolvenza; accantonamento che peggiorerà, però, la sua reddittività. Questo approccio porta inevitabilmente ad una certa diffidenza (specialmente in questo periodo) nel finanziare progetti di sviluppo lungimiranti e innovativi che, spesso, comportano un rischio maggiore, privilegiando investimenti in settori con dinamiche già conosciute, per i quali si è in grado di monitorare l’andamento ed effettuare previsioni. Proprio per queste ragioni, aprire all’immissione di nuovi capitali sotto forma di equity, per molte imprese, potrebbe essere la chiave di volta per riuscire a superare la crisi. Chi investe in capitale di rischio ha un approccio molto diverso rispetto a quello del sistema bancario. Tali soggetti sono alla ricerca di opportunità per la produzione di valore, sia in termini operativi / industriali (creazione di economie […]

Il patto generazionale come strumento per agevolare il passaggio generazionale

Un tema cruciale nella vita di ogni impresa a controllo familiare è quello del passaggio generazionale, anche per i non semplicissimi aspetti giuridici che esso presenta. Prima della L. 55/2006, l’ordinamento italiano statuiva il divieto di stipula dei patti successori con la conseguente impossibilità giuridica per l’imprenditore di assegnare l’azienda, fintanto che egli era ancora in vita, ad uno o più discendenti ritenuti idonei alla conduzione della stessa. Con il recepimento della raccomandazione pubblicata sul­la Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea n. 93/2 del 28.03.1998, l’ordinamento italiano ha progressivamente introdotto norme agevolative aventi ad oggetto il trasferimento dei comparti aziendali ai discendenti, culminate con la L. 55/2006 che consentiva all’imprenditore di stipulare con i propri familiari accordi diretti ad attribuire la titolarità della propria azienda o partecipazione societaria facilitando il passaggio generazionale. Il patto di famiglia si inserisce in questo contesto permettendo all’imprenditore di regolare il passaggio nella titolarità e conseguentemente nella gestione dell’azienda, a favore di uno o più discendenti considerati idonei, da ricercare all’interno del proprio asse ereditario, assicurando così, che il nuovo titolare subentri senza lo spettro di una possibile rivendicazione, da parte di altri legittimari, che possa mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’azienda stessa. Allo stesso tempo, il patto di famiglia tutelerà anche i diritti patrimoniali degli altri legittimari, attuali o futuri, attraverso la garanzia della loro quota di legittima. Proprio in riferimento ai legittimari non assegnatari, l’art. 768-quater, del Codice civile stabilisce che gli assegna­tari dell’azienda (o delle partecipazioni societarie) sono tenuti a liquidare la quota di legittima spettan­te, tranne in caso di rinuncia totale o parziale da parte dei legitti­mari stessi, mediante il pagamento di una somma cor­rispondente al valore stabilito dal contratto in ottemperanza a quanto previsto dagli art. 536 e seguenti, del Codice civile. In definitiva il patto di famiglia ha lo scopo […]

La gestione di impresa del prossimo futuro

Questi prossimi mesi saranno un tempo in cui molte imprese, a volte loro malgrado, dovranno cambiare qualcosa. Questo qualcosa sarà molto grande o piuttosto piccolo in base a variabili diverse: la dimensione dell’impresa, il mercato, il posizionamento in quel mercato, la situazione economica e finanziaria dell’impresa. Sono tutti aspetti sui quali riflette anche Andrea Guerra in questa intervista di qualche settimana fa realizzata da Marco Montemagno e che includiamo anche in fondo a questo post (vi consigliamo di ascoltarlo anche per altri spunti). Andrea Guerra, un manager italiano apprezzato anche all’estero, è stato amministratore delegato di Eataly, Luxottica e sarà, tra qualche settimana, il CEO della direzione hospitality del colosso della moda LVMH. Occupandoci da sempre del Gruppo Lube, abbiamo potuto apprezzare direttamente Andrea Guerra amministratore delegato di Merloni Elettrodomestici, condividendo, prima che le sue idee, la sua visione. Prendendo spunto da un’intervista ad Andrea Guerra, CEO di LVMH, proviamo a definire qualche linea di orientamento per la gestione delle imprese nei prossimi mesi. Per sintetizzare il suo (e nostro) pensiero rispetto a come le imprese potranno affrontare il prossimo futuro, ci soffermiamo su alcuni punti che riguardano, principalmente, l’organizzazione e la gestione aziendale e l’equilibrio economico-finanziario. Le imprese dovranno imparare ad essere (o a diventare) resilienti, cioè capaci non solo di resistere, ma di reagire a un cambiamento forzato come quello indotto dalla pandemia che stiamo lentamente attraversando. Resilienza significa anche allontanarsi dallo stereotipo “piccolo è bello” perché questo funziona solo in piccole e particolari nicchie di mercato. Un secondo passo che le imprese dovranno fare sarà quello di un’analisi, un checkup completo delle proprie condizioni. Dal nostro punto di vista, soprattutto per quello che concerne lo stato economico e finanziario, ma, se ascoltate l’intervista, gli aspetti da prendere in considerazione sono molteplici: la comunicazione, la gestione delle risorse, […]

Produttività: un’analisi efficace.

Riprendiamo le fila dell’analisi iniziata nello scorso post di questo blog e continuiamo a parlare di efficienza e produttività di uno Studio professionale. Questa volta ci soffermiamo su alcuni dettagli che riguardano l’analisi della produttività ed in particolare sulle caratteristiche e i vantaggi di un’analisi fatta ex-ante e quelli di un’analisi consuntiva. Partiamo da una premessa: è importante impostare un sistema di analisi che, oltre a una visione analitica, permetta anche la rappresentazione e la successiva lettura per indicatori sintetici collegati alle aree strategiche dello Studio. Uno sforzo fatto nella direzione di un’estrema analiticità andrebbe a scapito di una visione complessiva, ben più difficile da mettere a fuoco e della fruibilità dei dati emersi.  Detto questo, l’analisi ex ante è rappresentata dal rapporto tra l’onorario chiesto al Cliente e le ore dedicate allo stesso per svolgere le prestazioni concordate; chiaramente in sede preventiva il numero di ore rappresenterà una previsione, un benchmark al quale rimanere il più possibile allineati (magari prendendo come riferimento le medie statistiche del settore o, ancor meglio, quelle dello Studio medesimo). Come sappiamo la dinamica di un rapporto di consulenza può portare a modifiche anche sostanziali dei tempi e delle modalità di lavoro. L’analisi preventiva, se così possiamo chiamarla, rappresenta comunque uno strumento per capire, in caso di scostamenti, se le cause sono di natura economica (tariffa bassa, mancata valorizzazione di alcune attività, anche nella percezione del Cliente stesso) o di natura operativa (sottostima dei tempi). La produttività possiamo misurarla ex-ante ed ex-post: non si tratta di due analisi alternative, ma di due modi di vedere a uno stesso processo, quello di erogazione dei servizi e della consulenza. Diverse sono anche le azioni da intraprendere, nell’uno o nell’altro caso: si potrebbero adeguare le tariffe, valorizzare prestazioni occasionali prima non specificate, mettere in atto azioni di riorganizzazione, […]

Facciamo qualche conto

Abbiamo parlato, qualche tempo, fa di efficienza e in particolare di misurazione dell’efficienza di uno Studio professionale. Vorremmo approfondire questo aspetto trattando, come del resto è nostro mestiere, qualche numero. Partiamo con i primi due: 80 e 20. Si tratta delle percentuali in cui presupponiamo di dividere le attività produttive (80%) e quelle improduttive (20%) con una nota che riteniamo doverosa: chiamiamo alcune attività “non produttive” senza intendere con questo che siano attività inutili o tempo sprecato. Si tratta, al contrario, di attività che risultano funzionali alla vita dello Studio ma alle quali non possiamo imputare direttamente una produttività, cioè non possono essere valorizzate direttamente a un Cliente. Nel nostro caso tratteremo queste attività improduttive come un costo. Detto questo, il bilanciamento 80/20 è quello a cui si avvicinano gli Studi professionali meglio organizzati, più efficienti. Partendo da questa assunzione, possiamo andare a calcolare quale può essere la produttività di uno Studio, considerando le sole ore produttive (80%). Un primo obiettivo intermedio è quello di cercare di calcolare la produttività media dello Studio che potremmo riassumere nella formula: produttività media = fatturato di competenza / numero di ore produttive Quale potrebbe essere un benchmark per questo valore? A che cifra dovremmo avvicinarci, nei nostri contesti, per poter affermare che siamo di fronte a una produttività soddisfacente? Dalle informazioni che abbiamo, il valore dovrebbe essere tra i 55 e i 60 euro per ogni ora. Questo valore è indicativo per Studi che esercitano un’attività ordinaria, come ad esempio la tenuta delle scritture contabili, l’elaborazione dati, gli adempimenti fiscali, e non considera, quindi, incarichi o lavori straordinari. Ad esempio, per quanto ci riguarda, per noi che ci occupiamo soltanto di consulenza aziendale, fiscale-tributaria, societaria e di contrattualistica, paradossalmente, le ore (rectius: le attività) apparentemente improduttive sono assai di più: sono tutte le ore […]

Come misuriamo la nostra efficienza?

Noi per primi ci siamo chiesti come potevamo misurare la nostra efficienza, dal momento che questa oltre ad essere una misura della performance rappresenta anche un valore che ci ispira fortemente. Ci siamo trovati quindi, a ragionare sulla produttività e su come può essere misurata dal momento che nel nostro lavoro ci sono spazi che non possono essere misurati con facilità e immediatezza. Innanzitutto, che cosa intendiamo per produttività? Da un punto di vista teorico la produttività è il rapporto tra la quantità di prodotto finito e le materie prime utilizzate per realizzarlo. Chiaramente, questo rapporto è espresso in unità di misura che dipendono dal settore e, quindi, dalla tipologia di materie prime impiegate e prodotti finiti ottenuti. Questa misurazione si effettua in tutti i tipi di produzione e, anche se non sempre è facile da individuare, è altrettanto immediato capirne l’entità e la logica. Il risultato ottenuto aiuta chi produce a capire se lo sta facendo in maniera efficiente ed efficace, ovvero ad accertare se il proprio processo produttivo è conveniente e genera una buona performance.  Ma nei contesti in cui non c’è una vera e propria materia prima? Potrebbe essere il caso di uno Studio professionale in cui la materia prima, se così la possiamo chiamare. è data dalle persone e dalle loro conoscenze e competenze.  Dobbiamo in questo caso forzare un po’ la mano e applicare il ragionamento secondo il quale l’unica cosa che possiamo misurare è il tempo ceduto, cioè le ore lavorate per i Clienti. Lo facciamo chiaramente per amore del rigore e della precisione dei calcoli: sappiamo benissimo che poi un’ora di un Professionista non è fatta sic et simpliciter di competenza pura, ma anche di confronto, comunicazione, empatia e, qualche volta, trascende il mero rapporto professionale per arrivare a costruire un solido rapporto confidenziale. […]

Certificati di nuovo

La notizia quest’anno è arrivata il 4 febbraio: l’Ente Certificatore CSQ, dopo aver sottoposto il nostro Studio a verifica ispettiva per il mantenimento della Certificazione del Sistema di Gestione per la Qualità, per il sedicesimo anno consecutivo ha espresso parere positivo al rinnovo della Certificazione alla norma UNI EN ISO 9001:2015. Un risultato raggiunto senza raccomandazioni per il miglioramento e senza sollevare alcun rilievo rispetto alle procedure che utilizziamo per erogare i nostri servizi. Come abbiamo spiegato già lo scorso anno su questo spazio web, la certificazione di qualità per noi è il segnale, formale e oggettivo, dello stile con cui lavoriamo, dell’insieme di metodo e piccole azioni, della modalità con cui collaboriamo all’interno dello studio ma anche con i nostri clienti. Per lo Studio Montedoro la certificazione della qualità è anche certificazione del rispetto che abbiamo nei confronti del lavoro che facciamo e dei clienti che si affidano a noi. Se dovessimo dire perché certifichiamo il nostro lavoro, una motivazione sarebbe sicuramente legata al profondo rispetto che abbiamo per quello che facciamo. Anche nel 2020 il nostro studio si è visto confermare la certificazione di qualità secondo la norma ISO 9001:2015: un traguardo che come sempre è anche un punto di partenza. Questa parola, rispetto, ci fa venire in mente un manifesto pubblicato qualche tempo fa da Vincenzo Moretti su IlSole24Ore: si tratta di una sorta di dichiarazione di intenti e valori sul modo di lavorare bene (come peraltro dice il titolo stesso). Lo slogan che lo accompagna (che è anche uno dei punti del manifesto) recita così: “qualsiasi lavoro, se lo fai bene, ha senso”. In questo noi ci troviamo già molto del senso della nostra certificazione. “Il lavoro ben fatto non può fare a meno dell’etica, della cultura, dell’approccio, del modo di essere e di fare fondati […]